TRIBUNALE DEI MINORI DI NAPOLI = ARMA DI DISTRUZIONE FAMILIARE, LUOGHI DI ANNULLAMENTO DEI PADRI

NON ABBIAMO ALCUNA FIDUCIA NELLA MAGISTRATURA CHE VIOLA MANIFESTAMENTE IL DIRITTO: tiriamo fuori il conflitto dei genitori dai tribunali civili e minorili che lucrano sui minori: usano motivazioni false ed inesistenti nella realtà fenomenica


LEGALIZZAZIONE DEL SEQUESTRO DEI BAMBINI, SECONDO L’ASSURDO ILLEGALE PRINCIPIO CHE INTERESSE DEL FIGLIO È NEGARGLI IMMOTIVATAMENTE IL PADRE, SEQUESTRANDOGLIELO ED INSEGNANDO A MANCARGLI DI RISPETTO (P.A.S.), NONCHE’ INNESCANDO DOLOSAMENTE IL DISAGIO E L’ODIO IRREPARABILE TRA I COMPONENTI FAMILIARI - BASTA LASCIARE LA MADRE ALIENANTE LIBERA INDISTURBATA DI RECIDERE IL LEGAME PATERNO, RENDENDO PADRE E FIGLI ESTRANEI E FUTURI INCOMUNICATIVI NEMICI.


NON POTENDO INTERVENIRE SUL CSM, DOBBIAMO INTERVENIRE SULLE LEGGI UNA AD UNA PER ELIMINARE QUEI CRITERI DISCREZIONALI EFFETTO DEI VUOTI LEGISLATIVI E DELLE OMISSIONI USATI DALLA DITTATURA, PER CUI LA BILANCIA DIPENDE DA CHI LA TIENE IN MANO, A SECONDA DI COME E' FATTA LA BILANCIA DI QUEL GIUDICE.

La legge DISAPPLICATA impedisce la DIFESA DEI PADRI dall’ALTERAZIONE del SISTEMA GIUDIZIARIO in materia di famiglia, dalle FEMMINE DELINQUENZIALI, dalle MAGISTRATE SESSISTE, dai VECCHI PROTETTORI EX-PADRONI PENTITI, dai BIGOTTI, dai SEMI-MASCHI CORTIGIANI IN DIVISA, dai MILLE INGIUSTI PRIVILEGI DI CUI GODONO INCOSTITUZIONALMENTE le donne.


Paradosso : La vostra richiesta di giustizia si volge agli operatori che assecondano manifestamente i desideri irrazionali della madre, le cui “resistenze culturali” (ndr. tendenze ed opinioni personali non terze) sono favorite da oggettive difficolta`di lettura del testo, profittando della mancanza in alcuni fondamentali passaggi riguardanti la inequivoca prescrittivita`delle norme.

A TAL PUNTO IL CITTADINO SI ACCORGE CHE TUTTE LE TASSE PAGATE IN UNA VITA SONO STATE LETTERALMENTE RUBATE DA UNO STATO IN CUI E’ IMPOSSIBILE IDENTIFICARSI

Solo perchè MASCHI sarete CRIMINALIZZATI, DERUBATI, DISCRIMINATI e DISTRUTTI mediante semplici pretesti istigati proprio dai giudici.

dimenticavo: DIFENDETEVI DALLA DITTATURA GIUDIZIARIA, COMPRATE A DEBITO E FATE SCOMPARIRE LE SOSTANZE, assegneranno alle mogli debiti che non pagherete se non vi danno i figli!


giovedì

DIVIETO BURQUA: MANCANZA RISPETTO COSTUMI E RELIGIONE ALTRI POPOLI. Occultato confine razzista; oramai donne ciarpame in Parlamento scalzano tutto

267° post
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DECRETO ROMANI su INTERNET: stiamo per diventare tutti emittenti televisive e su tutti noi si corre il rischio della responsabilità editoriale

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20 gennaio 2010 -
www.byoblu.com/attacco_alla_rete

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Mancano i soldi?I Comuni rimediano con multe stradali (Corriere della sera 24.01.10). Nel 2008 ne sono state fatte 12,6 milioni:una vera tassa occulta

265° post
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Ogni italiano munito di patente ha pagato in media 76 euro, ogni vigile ha compilato verbali per 43 mila euro.

(vedi 67° post http://giosinoi.blogspot.com/2009/08/lotta-allevasione-fiscale-e-lotta.html )

ROMA - I Comuni italiani fanno cassa con le multe stradali, che fruttano di più delle addizionali Irpef. Il risultato è che gli italiani pagano una vera e propria tassa occulta. È quanto emerge da un'indagine condotta dall'Adnkronos consultando i bilanci dei Comuni italiani. Nel 2008 sono state fatte 12,6 milioni di multe, 1.427 all'ora e 24 al minuto. Ogni italiano munito di patente ha pagato in media 76 euro mentre ogni vigile ha compilato verbali per 43 mila euro.
VOCE IRRINUNCIABILE - Le entrate per le infrazioni degli automobilisti sono infatti una voce irrinunciabile per far quadrare i conti e le amministrazioni comunali indicano in bella evidenza il gettito previsto per i prossimi esercizi nei bilanci di previsione. Una cifra crescente che viene stimata tenendo conto delle entrate degli anni precedenti e, soprattutto, delle voci di spesa da compensare. Il Comune di Verona, per esempio, dalla vo¬ce «sanzioni al codice della stra¬da» conta di in¬cassare quest'anno 13,2 milioni di euro contro i 10 milioni del 2009. Il Comune di Salerno prevede un aumento del gettito delle multe che pas¬sa dagli 11 milioni del 2009 ai 15 milioni del 2010. E la tendenza rimane inalterata se, invece dei Comuni più grandi, si prendono in considerazione quelli minori.
QUADRATURA DEI BILANCI - Il meccanismo favorisce evidenti forzature. Se al 30 giugno le multe incassate sono inferiori alla cifra indicata nei bilanci di previsione, nella seconda parte dell'anno si trova il modo di «far quadrare i bilanci». In tutti i bilanci dei principali Comuni italiani, andando a scomporre il flusso delle entrate da sanzione del codice della strada, si evidenzia un aumento consistente delle multe comminate nella seconda parte dell'anno.
VIOLATA LA LEGGE - L'articolo 208 del Codice della strada prevede che i proventi delle multe vadano reinvestiti in attività a favore della sicurezza e della prevezione degli incidenti stradali. Una prescrizione che viene spesso disattesa. Come evidenzia uno studio della Fondazione Caracciolo dell'Aci sui piccoli Comuni e polizie locali: «il 50% dei Comuni non utilizza le risorse derivanti da suddetti proventi come previsto per legge». Altrettanto evidente è la mancata applicazione della direttiva Maroni del 14 agosto 2009, che impone di installare gli autovelox su strade ad alto rischio di incidenti.
TRUFFE - Cresce anche il rischio di truffe ai danni degli automobilisti. Come nel caso dei sensori collocati sui semafori: la Cassazione con una sentenza del 30 ottobre 2009 ha dichiarato nulle le multe in caso di assenza del vigile urbano. Ma i verbali continuano ad arrivare. Basta aver oltrepassato un incrocio con il rosso scattato da 4 decimi di secondo su una strada congestionata con la circolazione che procede a passo d'uomo, per subire una multa di 160 euro e la decurtazione di 6 punti sulla patente.
PIÙ CARE - Dal 1° gennaio 2009 sono aumentati gli importi previsti per violazione del Codice della stada:
- divieto di sosta da 36 a 38 euro
- divieto sosta con pericolo da 74 a 78 euro
- eccesso di velocità fino a 10 km/ora da 36 a 38 euro
- eccesso di velocità tra 11 e 40 km/ora da 148 a 155 euro
- mancato uso cinture sicurezza o seggiolini da 148 a 155 euro
- sorpasso vietato semplice da 70 a 74 euro
- sorpasso vietato con pericolo da 143 a 150 euro
- sorpasso vietato con veicoli pesanti da 281 a 295 euro
- passare col semaforo rosso da 143 a 150 euro
- violazione generica della segnaletica da 36 a 38 euro
- mancata precedenza a incroci da 143 a 150 euro
- guida in stato ebbrezza da 500 a 12 mila euro
- guida sotto effetto stupefacenti da 1.500 a 12 mila euro. (fonte: Adnkronos)

http://www.corriere.it/cronache/10_gennaio_24/multe-comuni-tassa_3c496134-08fb-11df-a931-00144f02aabe.shtml

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lunedì

AUTOMATISMI GIURIDICI DANNOSI DA DISCREZIONALITÀ:se non limitabile potere magistrati, forzarli a operare per attenuarne effetti lesivi su tutti noi

264° post
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Tutti noi siamo gli INDIFENDIBILI DAGLI ABUSI GIUDIZIARIO E DELL'ORDINE COSTITUITO, VERO CHE NESSUN MINISTERIALE SI DEGNA DI CONTROLLARE LA VERIDICITA' DELLE PROTESTE DEI CITTADINI LESI DAI PROVVEDIMENTI INCOSTITUZIONALI.

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ANONIMATO è principale difesa di noi deboli dagli abusi storici dell’ordine costituito. Persecuzioni costrette a limitarsi al lavoro individualizzato

263° post
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GIUDICI NON SONO PALADINI LEGALITÀ: ottimo ridurre poteri incontrollabili magistratura, usati tecnicamente per eludere costituzione e leggi

262° post
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Gli impiegati statali, sappiamo tutti spesso assunti per canali irrituali come costume italiano, hanno il piccolo neo di valere sempre un tantino meno di quello che sono pagati.
Nel caso dei magistrati, chi può negare che essi ed esse non siano affatto terzi in relazione alle cause che trattano?
Chi può garantire il cittadino che in particolari cause non abbiano la propria visione “soggettiva”, che si porrà quindi come una sentenza pregiudiziale solamente da raggiungere con la successiva scrittura delle quattro chiacchiere “sentenza” magari scopiazzate?
Chi ci garantisce e che mezzi di difesa abbiamo contro tali abusi non denunciabili (e nemmeno rilevabili, tanto fa scandalo accusare un giudice, figuriamoci se poi punibili!), cioè avverso le capacità tecniche dei gruppi di potere imperversanti nella magistratura, che altresì forniscono indirizzi – obiettivo con cui omologare il comportamento della cittadinanza?

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venerdì

PROCESSO BREVE: perché È GIURIDICAMENTE E SOCIALMENTE GIUSTO e perché no. I Magistrati sono più pericolosi dei Mafiosi

261° post
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Come il giusto processo riconosceva il diritto ad una durata ragionevole, con la pecca di risarcire un danno già avvenuto e non impedito – previo ulteriore processo come scalino al riconoscimento del diritto - , ORA SI TRATTA DI AUTOMATIZZARE IL DIRITTO A NON SUBIRE L’INCAPACITÀ DEGLI IMPIEGATI STATALI DEL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, OVVERO DI QUEI RACCOMANDATI DI CASTA CHE SI FREGIANO DI IMMUNITÀ ED IRRESPONSABILITÀ DI STATO.
Cosa è più grave tra un buco di debito pro capite di € 30.000,00 neonati compresi, o la possibilità di essere perseguitati a vita e senza difese dal sistema giudiziario in cerca di carriere e denaro, 90% di innocenti compresi ?
E per di più il debito publico non è stato formato tutto da Berlusconi, ma dai politici tutti nominati dal menefreghismo popolare, nepotismo, clientelarità ed assenza di rispetto per la Costituzione vista l’indifferenza ai fatti della politica, dal come la vedeva Calamandrei.
E per di più i mafiosi li hanno permessi loro, con la loro incapacità e la loro inefficiente secolare connivenza, ed ora si vorrebbero ergere a paladini della “loro” legalità impunibile ad castam ..
Meglio preoccuparsi dei mafiosi solo dopo essersi difesi dalle forze imbattibili dell’ordine costituito: i primi sono comunque e sempre perseguibili.

RESTA SEMPRE IL PASSO ERADICANTE E COSTITUZIONALE DA FARE, CIOÈ LICENZIARE E PROCESSARE I MAGISTRATI CHE HANNO COSCIENTEMENTE DANNEGGIATO CITTADINI E MINORI INERMI!

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sabato

GLI UOMINI COMUNICANO CON LE DONNE PER POTERLE PORTARE A LETTO. LE DONNE VANNO A LETTO CON GLI UOMINI PER POTERLI RAGGIRARE E USURPARE

260° post
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Se le leggi e le sentenze delle Corti Supreme impediscono di fatto una parità tra uomini e donne, privilegiando queste ultime nelle aule dei tribunali, allora è il momento di chiedere al Parlamento di cambiare radicalmente le leggi per ripristinare la parità e la giusta legalità non distorta

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MODIFICARE 317-bis cc.“Esercizio della potestà”:PERICOLO DI PREGIUDIZIO INVENTATO! bisogna CERTIFICARE DANNO PER PROLE PRIMA DI ALLONTANARE I PADRI

259° post
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venerdì

DISCRIMINAZIONE SESSISTA CONTENUTA GIA’ in art. Art. 317-bis Esercizio della potestà: spetta congiuntamente a entrambi (solo) qualora siano conviventi

258° post
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Questo articolo è INCOSTITUZIONALE ai sensi dell’art. 3 della COSTITUZIONE, nella misura in cui discrimina il genere umano in base al solo sesso, in quanto il minore non ha alcun interesse a perdere un genitore e la sua Potestà!

TUTTI I CITTADINI SONO EGUALI DAVANTI ALLA LEGGE SENZA DISTINZIONE DI SESSO ....

TUTTE LE CHIACCHIERE GIURIDICHE SCRITTE NEI CODICI (che, come le altre leggi, sono di rango inferiore alla Costituzione, ed ottenute per manovre politiche per niente chiare all’elettorato) PORTANO COMUNQUE ALL’ESCLUSIONE DEL PADRE PER CAVILLO LEGALE CONFERMATO DALLE CORTI SUPREME


Art. 317-bis Esercizio della potestà
Al genitore che ha riconosciuto il figlio naturale (250) spetta la potestà su di lui.
Se il riconoscimento è fatto da entrambi i genitori, l'esercizio della potestà spetta congiuntamente ad entrambi qualora siano conviventi. Si applicano le disposizioni dell'art. 316. Se i genitori non convivono l'esercizio della potestà spetta al genitore col quale il figlio convive ovvero, se non convive con alcuno di essi, al primo che ha fatto il riconoscimento. Il giudice, nell'esclusivo interesse del figlio, può disporre diversamente; può anche escludere dall'esercizio della potestà entrambi i genitori, provvedendo alla nomina di un tutore.
Il genitore che non esercita la potestà ha il potere di vigilare sull'istruzione, sull'educazione e sulle condizioni di vita del figlio minore (147, 261).
http://it.wikisource.org/wiki/Codice_civile_-_Libro_Primo/Titolo_IX#Art._330_Decadenza_dalla_potest.C3.A0_sui_figli

L’AFFIDAMENTO DEI FIGLI NATURALI.
Fondamento e criteri di applicazione. (di Carmelo Padalino)
SOMMARIO: 1. Presupposto immanente. – 2. Proposte di modifica. – 3. Profili processuali.

1. PRESUPPOSTO IMMANENTE.
In ipotesi di cessazione del rapporto di convivenza more uxorio, per volontà di uno o di entrambi i
conviventi, è necessario l’intervento del Giudice minorile per stabilire presso chi deve stare il figlio comune?
Le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno escluso la necessità di un simile intervento, sul rilievo che: «le disposizioni del
giudice, diverse rispetto alla regolamentazione legale (art. 317 bis comma secondo) possano essere prese su richiesta di uno dei genitorio di altri parenti o del P.M., e solo quando la situazione appaia esserepregiudizievole all’interesse del figlio minore (in applicazione o diretta od analogica dell’art. 330 e segg. cod. civ.)» (Cassazione, sezioni unite, 20 aprile 1991 n. 4273, in Giust. civ., 1991, I, 2998).
Ne consegue che, in tema di regolamentazione/modulazione della potestà genitoriale (tra cui va incluso il provvedimento di affidamento dei figli naturali), l’intervento del Tribunale per i minorenni, ai sensi dell’art. 317-bis Cc, è sempre subordinato alla sussistenza di un pericolo, anche solo potenziale, di pregiudizio per la prole, che costituisce un presupposto immanente a qualunque intervento richiesto al Giudice minorile (cfr., da ultimo, Cassazione 16 ottobre 2008 n. 25290, in Famiglia e minori, 2008, 11, 47, con nota di PADALINO).
Tanto è vero ciò che, in una successiva pronuncia, le Sezioni della S.C. hanno affermato che: «nel caso invece di cessazione della
convivenza dei genitori naturali (così come nel caso in cui non abbiano mai convissuto) l’art. 317 bis pone alcuni criteri attributivi
dell’esercizio della potestà e prevede come meramente eventuale e successivo l’intervento del giudice, costruendolo come preordinato a correggere il cattivo funzionamento dei criteri predetti ed eventualmente a stabilire regole alternative, secondo un ampio spettro di ipotesi che arriva fino alla possibilità di escludere entrambi i genitori dall’esercizio della potestà» (Cassazione, sezioni unite, 25 maggio 1993 n. 5847, in Foro it., 1994, I, 1525, con nota di CIPRIANI).
Dunque, l’art. 317-bis Cc non disciplina un procedimento specularmene corrispondente a quello di affidamento dei figli legittimi
previsto, nel giudizio di separazione, dall’art. 155 Cc, ma disciplina un procedimento diretto a sanare situazioni di crisi interessanti il minore, al fine di porre rimedio, attraverso il controllo giudiziario della potestà genitoriale e l’adozione di provvedimenti cautelari e temporanei (volti a disciplinare, in concreto, l’esercizio della potestà), ad una situazione pregiudizievole, anche solo potenzialmente, cui risulta essere esposto il minore.
L’art. 317-bis Cc non può considerarsi separatamente dal sistema generale del controllo giudiziario sulla potestà dei genitori, fissato
dagli articoli 330 e seguenti Cc, in quanto i relativi provvedimenti si pongono ad un livello intermedio fra quelli di decadenza e quelli di limitazione della potestà genitoriale, essendo improntati alla medesima ratio (Cassazione, sezioni unite, 23 ottobre 1986 n. 6220, in Foroit., 1987, I, 3278).
Secondo i giudici di legittimità: «per i figli naturali il controllo è più penetrante, perché le misure che possono essere adottate, in via
preventiva e non soltanto repressiva, possono articolarsi in modo più articolato e graduato rispetto alla decadenza ex art. 330 ed ai provvedimenti “innominati” di cui all’art. 333, fino a giungere – come nel presente caso – all’esclusione dell’esercizio della potestà nei riguardi di entrambi i genitori; misura però che si differenzia dalla decadenza, perché il genitore può conservare i poteri di cui all’ultimo comma, già rammentati. D’altra parte, i provvedimenti ex art. 333 non sempre escludono l’esercizio della potestà, ma possono limitarsi a dare disposizioni puntualmente vincolanti per il suo esercizio» (Cassazione, sezioni unite, n. 6220 del 1986, citata).
Una riprova di tale conclusione è data dal rilievo che un procedimento de potestate iniziato, ad esempio, per la dichiarazione di decadenza può portare all’emanazione di un provvedimento meno grave, ai sensi degli articoli 317-bis o 333 Cc; viceversa, dalla semplice richiesta di affidamento del figlio naturale potrebbe giungersi, nell’ambito del medesimo procedimento, alla decadenza di uno dei genitori dalla potestà.
Sotto il profilo processuale, il procedimento di modulazione/regolamentazione della potestà sui figli naturali (impropriamente
chiamato di «affidamento» degli stessi), in quanto procedimento volto al controllo della potestà genitoriale, è disciplinato dall’art. 336 Cc, posto che, là dove tale disposizione normativa richiama «i provvedimenti di cui ai commi precedenti», deve intendersi riferita – quanto meno in via di interpretazione estensiva – anche al provvedimento reso ai sensi dell’art. 317-bis Cc.
Tale conclusione non può ritenersi inficiata dall’entrata in vigore dell’articolo 4, comma 2, della legge n. 54/2006 (che ha esteso ai
«procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati» le nuove disposizioni, sostanziali e processuali, in tema di affidamento condiviso), tenuto conto che tale disposizione normativa: «ha il significato di estendere – all’evidente fine di assicurare alla filiazione naturale forme di tutela identiche a quelle riconosciute alla filiazione legittima – i nuovi principi e criteri sulla potestà genitoriale e sull’affidamento anche ai figli di genitori non coniugati, senza incidere sui presupposti processuali dei relativi procedimenti, tra i quali la competenza» (Cassazione 3 aprile 2007 n. 8362, in Famiglia e minori, 2007, 5, 15, con
nota di SPINA).
Pertanto, ancora oggi, uno dei presupposti immanenti a qualunque intervento richiesto al Tribunale per i minorenni (tra cui il
provvedimento di «affidamento» dei figli naturali) è costituito dalla sussistenza di un pericolo, anche solo potenziale, di pregiudizio per la prole.

2. PROPOSTE DI MODIFICA.
L’attuale assetto delle competenze in materia di potestà genitoriale, così come risultante a seguito
dell’entrata in vigore della legge n. 54 del 2006 e del fondamentale arresto della Cassazione del 3 aprile 2007, n. 8362, è perfettamente armonico e razionale, tenuto conto, per un verso, che attribuisce al Tribunale per i minorenni tutti i procedimenti volti al controllo della potestà genitoriale e che possono recare pregiudizio alla prole (tra cui il procedimento previsto dall’art. 317-bis Cc), e, per altro verso, perché, ad oggi, «l’ordinamento non disciplina espressamente un procedimento di affidamento dei figli naturali, riconosciuti da entrambi i genitori, nel caso di rottura della convivenza tra questi» (Cassazione n. 5847 del 1993, citata; nello stesso senso, si veda Cassazione n. 8362 del 2007, citata, secondo cui: «il diritto vivente – nell’assenza di una disposizione
espressamente rivolta a disciplinare un procedimento di affidamento del figlio naturale riconosciuto da entrambi i genitori, nel
caso di rottura della convivenza tra costoro – ha colto nell’art. 317-bis cod. civ., concernente l’esercizio della potestà sui figli minori riconosciuti da entrambi i genitori naturali, il referente normativo per giustificare l’intervento, sia pure eventuale e successivo, del giudice in materia»).
È significativo, ai fini in esame, che il legislatore, nel disposto dell’art. 4, comma 2, legge n. 54/2006, facendo riferimento ai «procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati» (e non già ai procedimenti di «affidamento» dei figli naturali, non essendo previsti in legge), non ha introdotto un nuovo procedimento, ma si è limitato a richiamare procedimenti già esistenti nel nostro ordinamento giuridico, aventi ad oggetto la regolamentazione/modulazione dell’esercizio della potestà parentale sui figli naturali, e, quindi, i procedimenti di cui agli articoli 317-bis e 336 Cc, già di competenza del Tribunale per i minorenni (si veda C. PADALINO, L’affidamento condiviso dei figli, Giappichelli, 2006, 261).
Pertanto, l’eventuale abrogazione dell’articolo 317-bis Cc, attualmente in discussione al Senato della Repubblica (avente come obiettivo «quello di armonizzare l’ordinamento in materia di potestà genitoriale, attraverso la concentrazione delle competenze giurisdizionali in capo al tribunale ordinario», così Relazione al Disegno di legge n. 1211), non determinerebbe lo spostamento della competenza a decidere sull’affidamento dei figli naturali in favore del Tribunale ordinario, non essendo previsto in legge alcun procedimento relativo ai figli di genitori non coniugati – cui fa riferimento l’art. 4, comma 2, della legge n. 54/2006 – che disciplini, dinanzi al Tribunale ordinario, l’affidamento dei figli naturali, ovvero la regolamentazione/modulazione dell’esercizio della potestà sugli stessi.
Né potrebbe sostenersi l’applicazione alle coppie di fatto, nel cui ambito sia nata prole, delle regole processuali previste dagli articoli
706 e seguenti Cpc (come sembrerebbe desumersi dalla citata relazione al disegno di legge, là dove si afferma che l’impianto normativo processuale operato nei giudizi di separazione e divorzio dalle leggi n. 80 del 2005 e n. 54 del 2006 escluderebbe «ogni intromissione della giurisdizione del tribunale per i minorenni»), tenuto conto che «la convivenza more uxorio rappresenta l'espressione di una scelta di libertà dalle regole che il legislatore ha sancito in dipendenza dal matrimonio: da ciò deriva che l'estensione automatica di queste regole alla famiglia di fatto potrebbe costituire una violazione dei principi di libera determinazione delle parti» (Corte costituzionale 13 maggio 1998 n. 166, in Famiglia e diritto, 1998, 205, con nota di CARBONE).
Ciò anche in considerazione del fatto che «diversi sono i presupposti dell’intervento del giudice in ordine alla emanazione dei
provvedimenti riguardo all’affidamento ed al mantenimento dei figli, a seconda che si tratti di crisi dell’unione di fatto e di crisi della famiglia fondata sul matrimonio» (Cassazione n. 8362 del 2007, citata).
Segnatamente, nella separazione personale dei coniugi la causa petendi ed il petitum sono rispettivamente costituiti, in via principale,
dall’esistenza di fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza e dalla pronuncia appunto di separazione (che presuppone, necessariamente, la cessazione della convivenza dei coniugi), cosicché le eventuali statuizioni relative ai figli minori, di cui all’articolo 155 Cc, si inseriscono nel quadro di una consequenziale regolamentazione della vita familiare, per cui, da un lato, vengono ad incidere soltanto sulle «modalità di esercizio» della potestà genitoriale e non postulano il pregiudizio o il pericolo di un pregiudizio per la prole medesima; viceversa, il procedimento per la disciplina della potestà genitoriale, di cui all’articolo 317-bis Cc, fa riferimento ad una condotta di uno o di entrambi i genitori necessariamente pregiudizievole al figlio (causa petendi) ed ha ad oggetto l’emanazione di provvedimenti volti a rimediare a tale situazione (petitum).
Quindi, l’unica conseguenza derivante dall’abrogazione dell’art. 317-bis Cc sarebbe costituita dall’eliminazione dei criteri che, in caso di cessazione della convivenza more uxorio, disciplinano attualmente, ed in assenza di un intervento del Giudice, l’esercizio della potestà sui figli naturali (con evidente vuoto normativo sul punto) e dalla necessità di individuare, in via interpretativa, lo statuto normativo della potestà genitoriale e dell’affidamento dei figli naturali nella crisi della coppia di fatto nella disposizione normativa di cui all’art. 333 Cc, considerato che occorre ricercare i «procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati», cui fa riferimento all’art. 4, comma 2, legge n. 54/2006, tra quelli aventi ad oggetto il controllo dell’esercizio della potestà genitoriale sui figli, e, quindi, tra i procedimenti di competenza del Tribunale per i minorenni.
Se è vero che, con i disegni di legge n. 1211 e 1412, «non si intende affatto esautorare il tribunale per i minorenni, giudice altamente
specializzato, ma anzi far sì che restino accorpate nella sua competenza tutte le questioni attinenti le censure alla potestà (articoli 330, 332, 333, 334 e 335 del codice civile» (così Relazione al Disegno di legge n. 1412), l’obiettivo di abrogare l’articolo 317-bis Cc è del tutto incongruo rispetto al fine perseguito, tenuto conto che trattasi di procedimento che rientra, a pieno titolo, nel sistema generale del controllo della potestà genitoriale (non a caso la S.C., nella citata ordinanza n. 8362/2007, ha chiarito che: «l’art. 317-bis cod. civ. conferisce al giudice ampi poteri di disciplinare in concreto l’esercizio della potestà nel modo che meglio corrisponde all’interesse del figlio»).

3. PROFILI PROCESSUALI.
La disciplina processuale dei provvedimenti che regolano/disciplinano la potestà genitoriale (articolo 317- bis Cc) è identica a quella propria degli altri provvedimenti volti al controllo della potestà genitoriale (ossia, l’articolo 330 Cc, che esclude la potestà, nonché l’articolo 333 stesso codice, che limita la potestà); conseguentemente, il procedimento volto all’emanazione dei suddetti provvedimenti si svolgerà nelle forme processuali di cui all’articolo 336 Cc, che si richiama agli articoli 737 e seguenti Cpc (e,
quindi, sui binari di quanto stabilito da tali norme), con applicazione diretta delle «disposizioni comuni ai procedimenti in camera di consiglio » (articoli 737 – 742-bis Cpc), in quanto compatibili, per colmare le lacune normative presenti nell’articolo 336.
Inoltre, si dovranno applicare direttamente, ex art. 4, comma 2, legge n. 54/2006, le norme processuali contenute nella citata legge che siano compatibili con la specialità del rito che governa il giudizio in esame.
Ne consegue che, nell’ambito del procedimento ex articolo 317-bis Cc, è possibile configurare:
a) l’obbligo di sentire sia il minore che entrambi i genitori (articolo 336, comma 2, Cc);
b) il potere del genitore interessato di chiedere la revoca di deliberazioni anteriori nei suoi confronti (articolo 336, comma 1);
c) il potere del giudice minorile di adottare, ex articolo 336, comma 3, anche di ufficio, provvedimenti temporanei nell’interesse del figlio (anche di natura patrimoniale, là dove, contestualmente all’affidamento, sia richiesto il mantenimento del figlio; contra, Tribunale per i minorenni di Bologna 1 ottobre 2008, in www.questionididirittodifamiglia.it);
d) i poteri istruttori del giudice (ivi compreso quello di disporre un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni dei genitori oggetto di contestazione;
e) i poteri di ascolto del minore;
f) il potere del giudice del procedimento di adottare i provvedimenti previsti dall’articolo 709-ter Cpc;
g) l’assistenza legale dei genitori e del minore (articolo 336, comma 4); h) la legittimazione dei nonni a proporre il ricorso ex articolo 317-bis, e non solo quello per la limitazione o decadenza della potestà dei genitori, al fine di ottenere una regolamentazione dei loro rapporti con i nipoti;
i) la legittimazione del Pubblico Ministero a proporre il relativo ricorso nei confronti di entrambi i genitori ovvero di uno solo di essi, tenuto conto che il provvedimento ex articolo 317- bis Cc viene emanato nell’ambito di un controllo penetrante sulla potestà genitoriale, che potrebbe condurre, in tesi, all’esclusione di entrambi i genitori dall’esercizio della potestà, con nomina di un tutore al figlio minore.
http://www.minoriefamiglia.it/%5Cdownload%5Caffidamento_dei_figli_naturali.pdf

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martedì

CEDU Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali cosí come modificata dal Protocollo n° 11 firmato a Strasburgo

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CEDU - CONVENZIONE EUROPEA DIRITTI UMANI

Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali cosí come modificata dal Protocollo n° 11 firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 ed entrato in vigore il 1º novembre 1998

Protocolli nn. 1, 4, 6 e 7

Il testo della Convenzione era stato modificato conformemente alle disposizioni del Protocollo n° 3, entrato in vigore il 21 settembre 1970, del Protocollo n° 5, entrato in vigore il 20 dicembre 1971 e del Protocollo n° 8, entrato in vigore il 1° gennaio 1990.
Esso comprendeva inoltre il testo del Protocollo n° 2 che, conformemente al suo articolo 5, paragrafo 3, era divenuto parte integrante della Convenzione dal 21 settembre 1970, data della sua entrata in vigore.
Tutte le disposizioni che erano state modificate o aggiunte dai suddetti Protocolli sono sostituite dal Protocollo n° 11 a partire dalla data della sua entrata in vigore, il 1° novembre 1998. Inoltre, a partire da questa stessa data, il Protocollo n° 9, entrato in vigore il 1° ottobre 1994, è abrogato.
Cancelleria della Corte europea dei Diritti dell’Uomo Novembre 1998

CONVENZIONE PER LA SALVAGUARDIA DEI DIRITTI DELL’UOMO E DELLE LIBERTÀ FONDAMENTALI (ROMA, 4.XI.1950)
I Governi firmatari, Membri del Consiglio d’Europa,
Considerata la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, proclamata dall’Assemblea delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948;
Considerato che detta Dichiarazione mira a garantire il riconoscimento e l’applicazione universali ed effettivi dei diritti che vi sono enunciati;
Considerato che il fine del Consiglio d’Europa è quello di realizzare un’unione più stretta tra i suoi Membri, e che uno dei mezzi per conseguire tale fine è la salvaguardia e lo sviluppo dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali;
Riaffermato il loro profondo attaccamento a tali libertà fondamentali che costituiscono le basi stesse della giustizia e della pace nel mondo e il cui mantenimento si fonda essenzialmente, da una parte, su un regime politico effettivamente democratico e dall’altra, su una concezione comune e un comune rispetto dei Diritti dell’Uomo di cui essi si valgono;
Risoluti, in quanto governi di Stati europei animati da uno stesso spirito e forti di un patrimonio comune di tradizioni e di ideali politici, di rispetto della libertà e di preminenza del diritto, a prendere le prime misure atte ad assicurare la garanzia collettiva di alcuni dei diritti enunciati nella Dichiarazione Universale, hanno convenuto quanto segue:

Articolo 1 . Obbligo di rispettare i Diritti dell’Uomo
Le Alte Parti Contraenti riconoscono ad ogni persona sottoposta alla loro giurisdizione i diritti e le libertà enunciati nel Titolo primo della presente Convenzione.

TITOLO 1 . DIRITTI E LIBERTÀ
Articolo 2 . Diritto alla vita
1 Il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge. Nessuno può essere intenzionalmente privato della vita, salvo che in esecuzione di una sentenza capitale pronunciata da un tribunale, nel caso in cui il reato sia punito dalla legge con tale pena.
2 La morte non si considera cagionata in violazione del presente articolo se è il risultato di un ricorso alla forza resosi assolutamente necessario:
- a) per garantire la difesa di ogni persona contro la violenza illegale;
- b) per eseguire un arresto regolare o per impedire l’evasione di una persona regolarmente detenuta;
- c) per reprimere, in modo conforme alla legge, una sommossa o un’insurrezione.

Articolo 3 . Proibizione della tortura
Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti.

Articolo 4 . Proibizione della schiavitù e del lavoro forzato
1 Nessuno può essere tenuto in condizioni di schiavitù o di servitù.
2 Nessuno può essere costretto a compiere un lavoro forzato o obbligatorio.
3 Non è considerato «lavoro forzato o obbligatorio» ai sensi del presente articolo:
- a) il lavoro normalmente richiesto ad una persona detenuta alle condizioni previste dall’articolo 5 della presente Convenzione o durante il periodo di libertà condizionale;
- b) il servizio militare o, nel caso degli obiettori di coscienza nei paesi dove l’obiezione di coscienza è considerata legittima, qualunque altro servizio sostitutivo di quello militare obbligatorio;
- c) qualunque servizio richiesto in caso di crisi o di calamità che minacciano la vita o il benessere della comunità;
- d) qualunque lavoro o servizio facente parte dei normali doveri civici.

Articolo 5 . Diritto alla libertà e alla sicurezza
1 Ogni persona ha diritto alla libertà e alla sicurezza. Nessuno può essere privato della libertà, se non nei casi seguenti e nei modi previsti dalla legge:
- a) se è detenuto regolarmente in seguito a condanna da parte di un tribunale competente;
- b) se si trova in regolare stato di arresto o di detenzione per violazione di un provvedimento emesso, conformemente alla legge, da un tribunale o allo scopo di garantire l’esecuzione di un obbligo prescritto dalla legge;
- c) se è stato arrestato o detenuto per essere tradotto dinanzi all’autorità giudiziaria competente, quando vi sono motivi plausibili di sospettare che egli abbia commesso un reato o vi sono motivi fondati di ritenere che sia necessario impedirgli di commettere un reato o di darsi alla fuga dopo averlo commesso;
- d) se si tratta della detenzione regolare di un minore decisa allo scopo di sorvegliare la sua educazione oppure della sua detenzione regolare al fine di tradurlo dinanzi all’autorità competente;
- e) se si tratta della detenzione regolare di una persona suscettibile di propagare una malattia contagiosa, di un alienato, di un alcolizzato, di un tossicomane o di un vagabondo;
- f) se si tratta dell’arresto o della detenzione regolari di una persona per impedirle di entrare illegalmente nel territorio, oppure di una persona contro la quale è in corso un procedimento d’espulsione o d’estradizione.
2 Ogni persona arrestata deve essere informata, al più presto e in una lingua a lei comprensibile, dei motivi dell’arresto e di ogni accusa formulata a suo carico.
3 Ogni persona arrestata o detenuta, conformemente alle condizioni previste dal paragrafo 1.c del presente articolo, deve essere tradotta al più presto dinanzi ad un giudice o ad un altro magistrato autorizzato dalla legge ad esercitare funzioni giudiziarie e ha diritto di essere giudicata entro un termine ragionevole o di essere messa in libertà durante la procedura. La scarcerazione può essere subordinata a garanzie che assicurino la comparizione dell’interessato all’udienza.
4 Ogni persona privata della libertà mediante arresto o detenzione ha il diritto di presentare un ricorso ad un tribunale, affinché decida entro breve termine sulla legittimità della sua detenzione e ne ordini la scarcerazione se la detenzione è illegittima.
5 Ogni persona vittima di arresto o di detenzione in violazione di una delle disposizioni del presente articolo ha diritto ad una riparazione.

Articolo 6 . Diritto a un equo processo
1 Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti. La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l’accesso alla sala d’udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell’interesse della morale, dell’ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in causa, o, nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicità possa portare pregiudizio agli interessi della giustizia.
2 Ogni persona accusata di un reato è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata.
3 In particolare, ogni accusato ha diritto di:
- a) essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa formulata a suo carico;
- b) disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a preparare la sua difesa;
- c) difendersi personalmente o avere l’assistenza di un difensore di sua scelta e, se non ha i mezzi per retribuire un difensore, poter essere assistito gratuitamente da un avvocato d’ufficio, quando lo esigono gli interessi della giustizia;
- d) esaminare o far esaminare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico;
- e) farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua usata in udienza.

Articolo 7 . Nulla poena sine lege
1 Nessuno può essere condannato per una azione o una omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso.
2 Il presente articolo non ostacolerà il giudizio e la condanna di una persona colpevole di una azione o di una omissione che, al momento in cui è stata commessa, costituiva un crimine secondo i principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili.

Articolo 8 . Diritto al rispetto della vita privata e familiare
1 Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.
2 Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.

Articolo 9 . Libertà di pensiero, di coscienza e di religione
1 Ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, così come la libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, l’insegnamento, le pratiche e l’osservanza dei riti.
2 La libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono stabilite dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla pubblica sicurezza, alla protezione dell’ordine, della salute o della morale pubblica, o alla protezione dei diritti e della libertà altrui.

Articolo 10 . Libertà di espressione
1 Ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera. Il presente articolo non impedisce agli Stati di sottoporre a un regime di autorizzazione le imprese di radiodiffusione, cinematografiche o televisive.
2 L’esercizio di queste libertà, poiché comporta doveri e responsabilità, può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza nazionale, all’integrità territoriale o alla pubblica sicurezza, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, alla protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire l’autorità e l’imparzialità del potere giudiziario.

Articolo 11 . Libertà di riunione e di associazione
1 Ogni persona ha diritto alla libertà di riunione pacifica e alla libertà d’associazione, ivi compreso il diritto di partecipare alla costituzione di sindacati e di aderire ad essi per la difesa dei propri interessi.
2 L’esercizio di questi diritti non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono stabilite dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale e alla protezione dei diritti e delle libertà altrui. Il presente articolo non osta a che restrizioni legittime siano imposte all’esercizio di tali diritti da parte dei membri delle forze armate, della polizia o dell’amministrazione dello Stato.

Articolo 12 . Diritto al matrimonio
A partire dall’età minima per contrarre matrimonio, l’uomo e la donna hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia secondo le leggi nazionali che regolano l’esercizio di tale diritto.

Articolo 13 . Diritto ad un ricorso effettivo
Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto ad un ricorso effettivo davanti ad un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali.

Articolo 14 . Divieto di discriminazione
Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita o ogni altra condizione.

Articolo 15 . Deroga in caso di stato d’urgenza
1 In caso di guerra o in caso di altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione, ogni Alta Parte Contraente può adottare delle misure in deroga agli obblighi previsti dalla presente Convenzione, nella stretta misura in cui la situazione lo richieda e a condizione che tali misure non siano in conflitto con gli altri obblighi derivanti dal diritto internazionale.
2 La disposizione precedente non autorizza alcuna deroga all’articolo 2, salvo il caso di decesso causato da legittimi atti di guerra, e agli articoli 3, 4 (paragrafo 1) e 7.
3 Ogni Alta Parte Contraente che eserciti tale diritto di deroga tiene informato nel modo più completo il Segretario Generale del Consiglio d’Europa sulle misure prese e sui motivi che le hanno determinate. Deve ugualmente informare il Segretario Generale del Consiglio d’Europa della data in cui queste misure cessano d’essere in vigore e in cui le disposizioni della Convenzione riacquistano piena applicazione.

Articolo 16 . Restrizioni all’attività politica degli stranieri
Nessuna delle disposizioni degli articoli 10, 11 e 14 può essere interpretata nel senso di proibire alle Alte Parti Contraenti di imporre restrizioni all’attività politica degli stranieri.

Articolo 17 . Divieto dell’abuso di diritto
Nessuna disposizione della presente Convenzione può essere interpretata nel senso di comportare il diritto di uno Stato, un gruppo o un individuo di esercitare un’attività o compiere un atto che miri alla distruzione dei diritti o delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione o di imporre a tali diritti e libertà limitazioni più ampie di quelle previste dalla stessa Convenzione.

Articolo 18 . Limite all’applicazione delle restrizioni ai diritti
Le restrizioni che, in base alla presente Convenzione, sono poste a detti diritti e libertà possono essere applicate solo allo scopo per cui sono state previste.

TITOLO II . CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO


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Coraggio, non siamo in Iran !

Ho notato che v’è ritrosia nel commentare ed identificarsi partecipando a questo blog, nell’erronea convinzione che lo stesso sia un contenitore di presunti illeciti penalmente rilevanti. Ebbene, ciò non è in quanto tutto rientra nel dettato Costituzionale in materia di libera e democratica espressione del proprio pensiero, non fa nomi e non contiene ingiurie diffamazioni o calunnie.
Contiene solo verità che chiunque può verificare di persona.

Aforismi personali e non

- Gli uomini rincorrono il denaro per avere le donne; le donne rincorrono gli uomini per avere il denaro. (giosinoi)

- Molti fanno mercato delle illusioni e dei falsi miracoli, così ingannando le stupide moltitudini (Leonardo da Vinci)

- Non mi sono mai sentito tanto
inefficace come quando mi è necessitato azionare la carta Costituzionale: dai giudici a tutti gli operatori del sistema legale, tutti si affannavano ad eludere la legge, pavoneggiandosi nel dimostrare di esserne al di sopra e capacissimi di eluderla. Sono sempre loro, fomentano odio, razzismo, discriminazione, separazione, vogliono ridurre le famiglie ad un mucchio di gatti randagi da internare in recinti appositi, per poi gestirle con la paura del potere (giosinoi)

- Anche una pulce incazzata può provocare una infezione nel dinosauro (giosinoi)

- Il ladro ti dice "o la borsa o la vita"; la moglie ti prende sia l'una che l'altra! (Enzo Iacchetti)

- Teorema dei cinesi : se tanti fanno poco, l'effetto è grande.

- L'ignoranza è mancanza di informazioni. Senza informazioni il cervello è solo un meccanismo chimico che trita l'acqua e brucia zucchero senza mai capire perchè (giosinoi)

- Il prodotto letterario di un piccolo tecnico è arte. E sortisce effetti moltiplicativi contro l'ignoranza molto più del mero confronto tra impreparati, che non migliorano oltre il limite del loro stesso sapere (giosinoi)

- Noi conosciamo la verità non soltanto con la ragione, ma anche con il cuore. (Blaise Pascal). Ai giudici la verità non frega niente, è un lavoro inutile, basta la non-verità processuale (giosinoi)

- Le esperienze dei capri espiatori non devono rimanere dentro di sé e perdersi nel tempo, come vuole il sistema che lucra dei propri impuniti errori. Vanno altresì affidate all’informazione per tutti, mediante il canale non politicizzato né omologato, non controllabile dalla dittatura, inestinguibile ed in soffocabile, come un grido perenne che scolpisca la memoria dei giusti. (giosinoi)

Per le persone poco sofisticate, la giustizia più che essere capita ha bisogno di essere sentita, come l’intelligenza dell’ignorante in materia sa fare ascoltando l’eco che i fatti e le moltitudini da prima si portano dietro (giosinoi)